Intervista a Giulio Pedrollo, vicepresidente di Confindustria con delega alle politiche industriali

Come legge il dato Istat?

“Non mi ha sorpreso: il Centro Studi di Confindustria aveva già pesato alcuni effetti come la Brexit e i continui mutamenti geopolitici, che ahimè stanno rendendo sempre più difficile fare impresa con la ricetta di esportare il più possibile. C’è un mix di elementi che porta a comprendere lo zero dell’Italia: i continui mutamenti geopolitici che complicano l’export, il terrorismo, la volatilità delle Borse, l’incertezza per le sofferenze delle banche, che frena il credito alle Pmi. Ma non cerco giustificazioni: questo zero non ci piace, e all’Italia, con il debito pubblico che ha, serve invece una crescita sostanziosa”.

Eppure qualcuno ce la fa. In Germania il Pil sale dell’1,6%. Gli imprenditori non hanno responsabilità?

“In Europa siamo a +0,3%, non è un gran numero. Certo, la Germania è il modello. Ma l’Italia, per fare come la Germania, avrebbe enorme bisogno di riforme strutturali e investimenti: per questo stiamo interloquendo con il governo e il ministro Carlo Calenda sulle azioni da intraprendere a settembre perché le nostre imprese ritrovino la crescita. Quanto alle responsabilità, certamente alcuni imprenditori non hanno saputo buttare il cuore oltre l’ostacolo, e presi dalla paura e dal timore di questa fase hanno ridotto o bloccato gli investimenti in azienda. Questa è una concausa della pesante perdita di produttività in atto”.

Su cosa bisogna concentrarsi per ripartire?

“Il focus sono gli investimenti, senza i quali non si va da nessuna parte. Il “superammortamento”, l’incentivo ad ammortizzare negli anni un bene fino al 140% del valore, ha favorito l’acquisto di macchinari; ma la sua proroga è importantissima, perché quando si investe non esiste un orizzonte a un anno, serve almeno un triennio. Si è parlato anche di crediti di imposta per progetti di digitalizzazione, per integrare macchinari, software e strutture. Poi abbiamo discusso di un rinforzo, detto “iperammortamento” per i beni dell’industria 4.0, a mio avviso un punto chiave”.

Perché?

“Perché consentirebbe di recuperare produttività, un altro elemento di cui c’è straordinario bisogno. Sviluppare l’industria “4.0”, anzitutto tramite l’analisi dei grandi dati, consente a chi fa impresa di interpretare al meglio i mercati. Serve un’analisi continua per decisioni e azioni veloci, per cui la catena produttiva deve assolutamente essere interconnessa. L’industria 4.0 è quel che ci fa essere più veloci e reattivi, al passo coi mutamenti attuali. Roland Berger stima che se l’Europa investisse 60 miliardi fino al 2030 nell’industria 4.0, creerebbe 500 miliardi di valore aggiunto e 6 milioni di posti di lavoro. E’ una sfida che riguarda l’intero sistema paese: dalla formazione ai Digital innovation hub, per diffondere l’innovazione tra le aziende”.

Il governo ha i soldi per fare la sua parte?

“Credo che a questo punto per il governo sforare il rapporto di deficit-Pil dell’1,8% sia una via obbligata, per ritrovare la forza di convincere l’Europa che siamo sulla strada giusta anche se il rapporto tra disavanzo e prodotto si allarga al 2,3-2,4% “.

Come vede la marcia lenta del Pil italiano nel 2016?

“Il centro studi Confindustria stima un +0,8% annuo per il Pil: poiché a giugno eravamo allo 0,6%, parliamo dunque di crescita, benché esigua. Conterà l’impatto del turismo, che dalle segnalazioni che mi giungono sta performando positivamente. Altri elementi saranno l’export, che nell’ultimo periodo ha iniziato a rallentare per i problemi in Nord Africa, Cina, Russia, e i consumi interni, che a parte il turismo è difficile ripartano presto”.